domenica 4 luglio 2010

AVA COME CLAVA



Schicchercartio.




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Schic-cher-car-tì-o (Ropalica sillabica decrescente 5+4+3+2+1).



Come disegnatore o imbratta tele oppure come scarabocchia fogli non devo sembrare un granché (altro che diarrea letteraria come vien suggerito nell’analisi etimologica del termine schiccherare -> Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani
).
Perché quivi [minchia che sintesi in un lemma, oltre modo antico, per dire: qui, nel luogo nel quale si confabula] il mio schicchercartio, vale sia come un semplice graffio su una tela - avete presente i cinque tagli di sopra alla Fontana?! Cinque, quante le sillabe del mio neologismo - e sia come una semplice parola scritta su un foglio, ma nessuna delle due può valermi, né ora e né in futuro, una fortuna, perché un neologismo di siffatta natura non serve a niente e a nessuno! 

Non è come Aspirina® o CocaCola® che valgono ai rispettivi detentori dei diritti un patrimonio. Schicchercartio è solo una piccola goccia emersa dall’immenso linguaggio universale, che a mala pena servirà solo a bagnare (come una lacrima dopo uno immenso sforzo sfinterico) una piccolissima parte di questo stralunato blog.

Eppure per esaltarmi un po’ vi dirò che i vecchi idiomi [ragionate con me su: id-io-mi = Id-Ego e Super Ego (suddivisione dell’apparato psichico di Freud
) = vale a dire Io: Uno e Trino perché in principio era il Verbo... e il verbo era D’io - tutto torna] sono nati, secondo Gennaro D’Amato, da L’Alfabeto sacro di Adamo, AUM (1987, Fratelli Melita Editore). Non è che mi voglio montare la testa dopo questa premessa - creata ad arte - ma il mio piccolissimo Verbo, o meglio, la mia nuova parola, non può che essere sacra. 
La sentite la musica che sprigiona: schic-cher-car-ti-o; la riuscite a vedere la scala che ne scaturisce: schic-cher-car-ti-o. È un sacro idioma = > vale a dire sacro id-iota (ma quanto Vino ho bevuto questa sera?!).




Sarà l’effetto di-Vino, ma riosservando la copertina del libro vedo la stessa matrice gra-fica “V” (V come cinque romano, V come neologismo pentasillabico) trovata dal D’Amato dappertutto (matrice certa <--> patrice incerto). Vedo rune e lettere dell’alfabeto che nascono - come Venere dalle acque - dalla stessa grafia, vedo il sacro simbolo femminile (V tagliata in due parti uguali - osservate bene la copertina del libro - che cosa apre Dio con le mani? Una V, la V di venere, di Verbo) e rivedo sopra il mio falso Fontana, che ricalca la lettera dell'alfabeto greco
ψ (psi) e la runa R (r) e vedo che è il Verbo, la parola, la Vera generatrice (matrice), la vera rivoluzione nel mondo.


Leggendo “schicchercartio” i puri di lingua, cioè i linguisti puristi potranno pure in-orridire [OrRidetti vi suggerisce qualcosa? Vi do un aiutino palindromo: è il mio avatar tumblero: EVOL ut ION <-> NOI, tu LOVE; che poi inserendo una R davanti diventa REVOLUTION = rivoluzione/evoluzione], ma vuoi mettere la mia soddisfazione per aver coniato il primo termine ropalico decrescente che va asce mare (vale a dire che verrà accettato e scomparirà in fondo all’oceano delle parole morte)!?

Forse
schicchercartionel panorama linguistico italiano è l’unico termine che possiede la suddivisione sillabica ropalica decrescente e, fino a prova contraria, è il solo termine coniato o identificato di questo tipo, ma se non lo dovesse essere, brindo lo stesso.

Brindo a tutti voi e a tutti i detrattori del Verbo. Anzi a quest’ultimi dedico due miei versi ropalici classici:

chi deve campari diventerà imperituro

chi beve campari degusterà aperitivo




ropàlico agg. e s. m. [dal lat. rhopalĭcus, gr. ῥοπαλικός, der. di ῥόπαλον «clava»] (pl. m. -ci). – Verso r. o assol., come s. m., ropalico, verso classico in cui le parole procedono crescendo successivamente di una sillaba, come nella clava (ῥόπαλον) crescono progressivamente le dimensioni dall’impugnatura alla testa: se ne trovano nei componimenti poetici di Porfirio (4° sec. d. C.), ma erano giochi metrici già in uso presso i poeti neoterici del 2° sec. d. C. e prima presso i Greci nell’età ellenistica coi carmi figurati di Dosiada e dei suoi imitatori. Un esempio ne è il verso (citato da Servio) Rem tibi concessi, doctissime, dulcisonoram.


6 commenti:

giardigno65 ha detto...

quando passi da queste parti si beve insieme sOFFRO io !

Ernest ha detto...

applausi, come sempre, per questo post
un saluto

Greis ha detto...

Ma io posso vantarmi con gli amici di "conoscere" colui l'egli che coniò forse nel panorama linguistico italiano l'unico termine che possiede la suddivisione sillabica ropalica decrescente?

Attendendo la risposta: CIN CIN!

NostraDannus ha detto...

ed Egli ad Ella in ropalico affetto:

Un vanto siffatto determina risibilità!
Ti dico ascolta Gracellente apprezzatrice
i tuoi divini entusiasmi d'affettuosità
son vera grandezza... dolcissima bloggerautrice,
al d'altrui ludibrio, preferisco magnanimità
con Ella, sugosi bucatini dell'Amatrice.


Ah... Prosit! AlleGra Ropalica Imperatrice.

Greis ha detto...

Ufficialmente invitato...appena può passi in Val Gina!

Susanna ha detto...

WoW...
M'imbatto per caso in questo blog e rimango a bocca aperta.
M'inchino a un (una?) giocolier di parole!
A rileggerti.
Susanna